Come si gestisce un campus universitario dal punto di vista di un gardenista

DELLA SERIE: NUOVI ARGOMENTI DI VENDITA PER I GARDEN/1
Il concetto campus; è vero che gli studenti rendono di più nel verde?
dal nostro corrispondente all’estero – Giovanni Carlini

PREMESSA PER I GARDENISTI
Nasce con questo articolo una nuova rubrica tesa a consegnare, ai gardenisti italiani, NUOVI ARGOMENTI DI VENDITA al fine di ampliare il fatturato in un momento congiunturale difficile per il nostro paese e per tutti i mercati. Le idee che vengono qui presentate rappresentano soluzioni già adottate all’estero e qui descritte.
In questo articolo si parla di scuole e di università. Se negli USA e in Canada ogni istituto di formazione ha del verde questo non è vero in Italia, ma come si fa a proporre una sensibilità verso questo aspetto che rappresenta per il nostro settore denaro e fatturato?
Ecco qui riassunti una serie di argomenti tecnici (documentati da interviste, siti e studi) che se ben utilizzati sono in grado di smuovere la sensibilità di un Preside, di un Rettore o di un’ istituzione scolastica. Fermo restando che sponsorizzare un’aiuola o un’area verde in un posto dove ci sono 2-3mila ragazzi è sempre un buon affare!

Contrariamente a quanto si pensi, il campus universitario non è affatto un parco con al centro l’istituto universitario o comunque l’area verde di un istituto di formazione. Il campus invece è solo e soltanto l’istituzione “scuola”, che può essere nel centro cittadino come alla sua periferia con o privo di uno sfogo verde. Chiarito il significato di campus va considerato come il 95% delle università nordamericane sia in un’area verde e il 41% delle scuole medie superiori ne faccia uso, ma il 100% chiede a un Garden sostegno e aiuto nella gestione dell’are verde spendendo in media 711 dollari per acro arredato con fiori e piante.

Quando la Redazione di GREEN UP mi commissionò questo studio, feci una gran fatica a spiegarmi con gli architetti dell’ufficio manutenzione dell’Università di Chicago www.uchicago.edu (University of Chicago – un’istituzione di formazione privata), perché credevo che la parola “campus” volesse dire parco o giardino annesso a una struttura universitaria, per cui non potevo immaginare un campus che non fosse di natura scolastica. Ovviamente sbagliavo.
L’obiettivo per cui questo scritto è pubblicato è indagare quanto conta, nei fatturati di un garden “autorevole”, l’appalto per il verde di un parco universitario o scolastico.
Come verrà in seguito spiegato un’area di 211 acri arredata a verde con fiori e alberi consente al garden di fatturare all’anno 150.000 dollari. Indipendentemente dal cambio con l’euro vigente in questo momento, si invita il lettore a pensare in termini di pareggio tra le due divise, per cui è realistico pensare che una nostra università con area verde annessa o una scuola con parco valga di conseguenza come cliente da servire da parte di un nostro garden.
Proseguendo nella definizione del concetto troppo spesso equivocato, l’edificio universitario con le aule e i corridoi per intendersi, è il campus, indipendentemente che sia immerso o no in un’area verde. Che poi la sociologia dell’educazione abbia constatato come uno spazio arredato a verde, di mezzo metro quadrato per studente iscritto, produca un miglioramento nelle votazioni del 37% costituisce un passaggio successivo, che non modifica il senso e la natura del “campus”. Ancora un altro concetto: college significa università e non collegio o scuola media superiore. Sgombrato il campo da ogni equivoco mi affido al Capo Ufficio Logistico dell’Università privata di Chicago, l’Ingegner Richard Bumsted.

Domanda: Grazie per aver concesso a GREEN UP un’intervista ingegnere. Perché come università insistete sulla correlazione verde e risultati scolastici?

Bumstead: questi studi sono stati condotti da noi, ma su input del garden che ci segue che a sua volta le propose come argomentazione di vendita, infatti abbiamo con lui un contratto di assistenza e fornitura di materiale per 147.000 dollari all’anno. Noi però riprendemmo questo concetto, sul quale ci siamo impegnati,riconoscendolo applicabile.

Domanda: Lei sarà in contatto con i suoi colleghi di altri atenei privati, in linea di massima quant’è il contratto che si stipula con il garden per la gestione e mantenimento di un parco universitario?

Bumstead: è difficile dare un dato perché ciò dipende dallo stato, dal suo clima, grandezza dell’ateneo e immagine che si vuole ottenere. Le grandi università della California, che soffrono di un clima molto caldo, spendono all’incirca sui 250.000 dollari all’anno per l’assistenza del garden, mentre quelle del nord (più umido) come noi, si attestano in media sui 150.000 tranne chi fa dell’immagine “forma” e si attesta sui 270.000 dollari all’anno.

Domanda: In Italia abbiamo l’idea che un campus universitario sia un’area verde che ospita una sede universitaria, questo è vero o falso?

Bumstead: non negli Stati Uniti dove l’università può essere sia un edificio nel centro della città che in un complesso arredato a verde. Nel downtown di Chicago abbiamo dei campus completamente privi di aree verde e mi riferisco alla Roosevelt University, il Columbia College, Harold Washington College. Il mito del campus, inteso come dice lei, è tipicamente europeo anche se in effetti, la stragrande maggioranza dei nostri atenei è inserito in un contesto a verde molto colorato e ricco di alberi, vialetti e parchi che derivano quasi sempre da donazioni di privati o di lotti assegnati dalla municipalità alla gestione del landscape universitario.

Domanda: forse è poco attinente al senso di questa intervista, ma lei sa per caso quanto denaro privato affluisca alle università per la loro gestione?

Bumstead: ovviamente vanno distinti atenei privati da quelli pubblici. In questo secondo caso, normalmente la fonte privata (benefattori, banche, aziende, privati) conta per il 60% delle spese di manutenzione e sviluppo dell’università. Nel caso degli istituti di formazione privata, come il nostro, la partecipazione pubblica si concretizza con aree di terreno da gestire a verde, mentre l’equilibrio finanziario è assicurato sia dalle rette degli studenti, che dalle ricerche svolte per conto e a favore di imprese che ce le commissionano. Da qui è facilmente comprensibile quanto la competizione, sul piano della ricerca, sia accesa tra i diversi istituti universitari statunitensi, in quanto la loro sopravvivenza dipende soprattutto da questo aspetto. Io mi sento d’approvare questo criterio di selezione del merito. Nel nostro caso possiamo contare su una media annuale di 407 milioni di dollari, provenienti da ricerche universitarie, grazie agli 81 premi Nobel che i nostri professori hanno conseguito nel corso degli anni.

Domanda: quanti acri di terreno arredato a verde ha l’Università di Chicago?

Bumstead: siamo sui 211 acri (1 acro corrisponde a 4.050 mq) che sono riconosciuti come parco botanico dal 1997 nel complesso dell’Hyde Park, sulle rive del lago Michigan, su cui si affaccia la nostra città.

Domanda: quanti alberi sono ospitati nel parco del campus e possono gli studenti, i genitori o professori apporvi delle targhe di memoria su di essi?

Bumstead: Abbiamo 2.200 alberi che possono anche diventare “memorial tree” con annessa targa commemorativa (in onore a persone, eventi o anche di stimolo per i figli che qui studiano) dietro un’elargizione di minimo 10.000 dollari.

Domanda: che tipo di piante coltivate nel vostro parco universitario?

Bumstead: usiamo un mix di soluzioni anche se la principale è il Kentuchy Blue Grass blen particolarmente adatto al clima rigido e continentale di Chicago, ma su questo abbiamo una rotazione pianificata stagionalmente con il garden che proprio per questa organizzazione ha vinto la gara di appalto. Significa che la scelta è caduta non sul più economico, ma sul progetto più completo.

Domanda: e il genere di fiori che scegliete?

Bumstead: diversi tipi di fiori in grado di resistere per più stagioni nel senso che ne selezioniamo la tipologia in base alla durata per rispondere a una richiesta del dipartimento di sociologia dell’università, per cui in questo contesto la variabilità di fiori, come delle piante è dannosa. Lo studente nel suo habitat ricerca stabilità (al limite noiosa se volessimo esprimerci in altri termini). Assicurare continuità al landscape (ovvero paesaggio urbano a verde) applicato su una popolazione giovanile tra i 18 e 26 anni, tende ad assicurare una maggiore resa negli studi e una minore conflittualità interna. Comunque ecco la lista dei fiori che utilizziamo e la loro alternanza stagionale da cui emerge che abbiamo una costanza di crisantemi durante tutto l’anno e delle variabilità concentrate sia in primavera che in estate.

Domanda: in pratica si può affermare che esiste una sociologia del landscape universitario?(concetto utile al garden per definire la sua strategia)

Bumstead: a livello di scuola di pensiero, con una sua struttura e bibliografia ancora no, sia perché i garden non hanno spinto in tal senso che anche per la novità non ancora codificata in ambito accademico per cui siamo allo stadio di studi sperimentali. Del resto il garden che ci appoggia, ma in genere tutti i garden sono sprovvisti di persone che sappiano proporre e fare ricerca anche nel business, per cui dobbiamo di fatto arrangiarci da soli.
A questo punto diciamo che gli aspetti psicologici e sociologici del landscape universitario sono in ritardo rispetto a quelli urbani, (dove i garden sono più attivi nel punzecchiare i sindaci specie sotto elezioni, perché entrano nel condividere i programmi di verde urbano nei piani elettorali sapendo che il 12% dei voti in più o meno dipende da ciò) che sono molto più avanzati e motivati perché sostenuti da fondi di ricerca municipali, laddove qui da noi è sperimentazione accademica pura. C’è poi un altro fatto. La popolazione universitaria non è un campione attendibile rispetto ai centri urbani. Nelle città l’utenza di riferimento, nella progettazione del landscape è sia l’adulto che la famiglia, che hanno priorità e sensibilità completamente diverse, dai nostri studenti. Quindi è una questione di sostenibilità finanziaria della ricerca. In città in gioco c’è la governabilità della popolazione e la loro convivenza nel controllo della conflittualità, qui è estetica nella produzione di pensiero. In questo senso la massa nello scambio di informazioni, tra il garden e noi, almeno presso questo ateneo, è con il dipartimento di Ecologia e quello di Biologia organica rispetto a Sociologia e Psicologia sociale.

Domanda: che varietà di alberi avete nel vostro parco?

Bumstead: ne abbiamo veramente di tutti i tipi anche perché furono piantati in epoche diverse e proseguono la loro vita. Ovviamente noi siamo alle porte della prateria e questo comunque incide nella sopravvivenza specie di quelle più esotiche. La prateria va ricordato è un ambiente naturale troppo umido per essere un deserto, ma anche troppo arido per ospitare alberi e coltivazioni.

Domanda: quante persone lavorano nel landscape department dell’Università e quanto incidono sul suo bilancio?

Bumstead: abbiamo un organico di 17 unità tra dirigenza e operatività. La nostra incidenza sul bilancio dell’Università è pari all’8,5% (350.000 dollari annui di cui 147.000 al garden per l’appalto) Con il nostro lavoro generiamo donazioni ed entrate pari al 39% del costo del dipartimento. (pari a 126,7 milioni di dollari) Mi spiego meglio. Tra targhe commemorative poste alla base degli alberi, i vialetti intitolati e le mattonelle sui percorsi dei prati con incise delle frasi dalle famiglie di stimolo ai loro ragazzi che studiano presso di noi, riceviamo donazioni e finanziamenti da privati, tali che il nostro dipartimento punta all’autofinanziamento anche se siamo molto distanti da questo risultato. Confesso che il mio obiettivo è portare questo trend all’autonomia completa, pur se manca ancora il 61% all’obiettivo e stiamo studiando con il dipartimento di psicologia, quello di sociologia, di marketing e il garden, le strategie idonee per chiudere il 2015 a pareggio tra donazioni e costi sia del personale che di mantenimento del landscape. A questo punto lei mi chiede che cosa stiamo organizzando vero? Le rispondo che è un segreto! Ci sono negli Stati Uniti 372 Università (le maggiori) che competono tra loro per finanziamenti accogliendo 500.000 studenti stranieri, che ogni anno vengono da noi per perfezionare il loro iter di studi oltre a quelli statunitensi. Capirà che la competizione qui è molto alta e in questo momento ci sono almeno altri 372 ingegneri o architetti miei colleghi, nei soli Stati Uniti, che si pongono lo stesso problema: il pareggio tra sovvenzioni e donazioni e il costo di gestione del landscape nei college del paese.

Domanda: come sono suddivise le spese del dipartimento e a quanto ammontano?

Bumstead: se il 70% è per emolumenti al personale e varie, il 30% è per la manutenzione e potenziamento del parco arboreo come floreale del campus, a cui si aggiungono, per quest’ultima voce le donazioni come già descritto. Lo stanziamento figura nel University’s Facilities Service Budget ed è pari a 350.000 dollari, ma noi gestiamo in realtà sia quest’ultima cifra che altri 136.500.

Domanda: in cosa consiste effettivamente il lavoro del garden per 150.000 dollari all’anno per voi?

Bumstead: Il contractor florovivaista, soprattutto nel periodo estivo, in occasione di picchi di lavoro per la semina ci fornisce sia mano d’opera diretta (8 unità) che le piantine da collocare nei 13 km di vialetti che abbiamo.

Domanda: chi decide e si assume la responsabilità di cosa piantare nel parco universitario?

Bumstead: è una responsabilità esclusivamente mia, ed è qui che mi confermo o perdo il posto anche se l’interazione con il garden è continua.

CONCLUSIONI
Qui ci sono gli argomenti di vendita da proporre come idee e questioni ai responsabili delle scuole italiane, i quali possono essere tranquillamente i clienti del garden se solo anche noi, in Italia, acquisissimo questa sensibilità come livello di civiltà.