Cosa ci insegna la vicenda della Russia contro l’Ucraina, cosa centra con la globalizzazione?

di Giovanni Carlini


Come noto a tutti in questi giorni, la Russia sta reagendo a quanto è già accaduto in Ucraina. Non c’è novità per chi non ha creduto che la globalizzazione avesse cambiato le regole delle relazioni internazionali. Oggi Russia, prima Unione Sovietica, come all’epoca degli Zar, il popolo russo ha sempre reagito nello stesso modo, ovvero compensando un complesso d’inferiorità dove le aspirazioni non hanno mai avuto un corrispettivo nella realtà.

Sotto quest’ottica, il comportamento russo ha un senso e un certo livello di prevedibilità. Chi è sotto accusa, in realtà sono i processi di globalizzazione, che avrebbero dovuto “cambiare il mondo”, quando in realtà ci sono delle dinamiche che restano costanti, la cui non considerazione porta inevitabilmente allo stupore della sorpresa. Ecco il punto. Riusciamo troppo spesso a chiudere gli occhi di fronte a delle costanti della storia e del nostro comportamento, da rimanere così inutilmente sorpresi. Dalle crude vicende d’attualità passiamo a quelle ancora più concrete: noi.

 

Noi tutti abbiamo delle costanti; sono modificabili? Nel momento in cui abbiamo dei problemi al lavoro possiamo interagire per cambiare qualcosa? Nel caso l’azienda non raggiunga i risultati sperati che si fa? Torniamo a un discorso che è vecchio quanto il mondo: in che misura è possibile cambiare la nostra vita? 
In realtà non tanto la globalizzazione, quanto la modernità (quindi dall’inizio del 900 in poi) tra le molte cose che ha determinato, ha introdotto anche la velocità. La questione quindi non è tanto se è possibile cambiare (lo è sempre) ma a che ritmo e velocità?

Il dipendente che non lavora come si vorrebbe a che velocità è modificabile? A questa domanda emerge un dato di fatto; troppo spesso le aziende chiedono cambiamenti senza cambiare. Mi spiego meglio. La richiesta di modifica-aggiornamento ai dipendenti e al mercato, troppo spesso emerge da una staticità di fondo per cui si desidera “la botte piena e la moglie ubriaca”.

Il vero punto di vista a questo punto cambia: quanto siamo disposti ad evolvere perché le costanti intorno a noi si modifichino? Un imprenditore, giorni fa afferma: il mio interesse è investire un anno su un giovane operaio affinchè per i prossimi 39 svolga sempre quella mansione.

Lo stesso capo d’azienda però si lamenta per assenteismo, poca voglia di fare dei lavoratori, generalizzato disinteresse, troppa malattia. Conteggiando questi costi invisibili con una similare attività manifatturiera, emerge un costo del lavoro effettivo superiore del 31%. Ovvero di cose fatte in meno rispetto altre dinamiche lavorative. Tutto sommato stiamo parlando di produttività nelle cui pieghe si nascondono i costi occulti che fanno sempre non quadrare il bilancio. Ecco quanto vale la politica del personale.

Come spesso, negli articoli che scrivo, siamo passati di “palla in frasca” ma la vita è completa solo se interdisciplinare, cercando il nesso della logica da argomenti apparentemente non connessi per trovare soluzioni. In questo caso la risposta è semplice: siamo capaci di cambiare se vogliamo che qualcosa cambi intorno a noi?