Il fallimento della globalizzazione. La stampa economica di oggi, 5 gennaio 2016 parla di Cina che affonda, in realtà chi affonda è l’idea stessa della globalizzazione che era sbagliata e ora è giunta finalmente al capolinea, dopo aver segnato il 42% di disoccupazione giovanile in Italia e mediamente il 22% in Europa. 

Si parla, oggi, sulla stampa specialistica in economia di Cina che affonda. Ovviamente il concetto va rivisto e corretto nel senso che ovviamente la Cina, finalmente, affonda, ma con essa, l’idea stessa della globalizzazione. In realtà stiamo parlando di un altro argomento: il fallimento della globalizzazione. Che cosa sta accadendo?

Per chi segue e studia la società moderna purtroppo si assiste al “già visto”. Tutte le considerazioni emerse in occasione della crisi subprime nel 2007 e i suoi clamorosi effetti del 2009 vengono ora replicate. Come al solito, in epoca globalizzata, l’aver permesso a personale troppo giovane di raggiungere posizioni di manager (abbiamo direttori generali a 26 anni rispetto i 55 di rito) ha “inventato” meccanismi che funzionano solo in un modo e non al variare delle condizioni. Mi spiego, il ragionamento per sviluppare il metodo subprime fu “perfetto”, finché i prezzi delle case sarebbero saliti, ma non fu prevista l’inversione della tendenza, che quando avvenne, provocò i noti guasti in tutto il mondo. La globalizzazione segue lo stesso ragionamento.

Nella globalizzazione si è voluto “unire” le 9 culture del mondo sotto il punto di vista dei consumi, allargandone la base con grandi profitti dei produttori. In pratica chi ci guadagna non è chi vende, ma chi produce. E’ il trionfo del low cost. Per produrre allargando la base di consumo si è dovuto delocalizzare per un generalizzato abbassamento dei prezzi, ma questo se ha permesso all’Occidente di comprare a buon prezzo,  ha però introdotto uno spiacevole effetto: la disoccupazione. In Grecia si registra una disoccupazione al 50%, in Spagna al 26%, in Italia al 12%. Hitler giunse al potere con una disoccupazione al 33%. Si può affermare con certezza che la disoccupazione fa male alla democrazia e la democrazia è il nettare ideologico e culturale dell’Occidente. Con il meccanismo della delocalizzazione l’Occidente si è fatto del “male”. Alcuni paesi hanno reagito (USA e Gran Bretagna) attraverso meccanismi di reshoring, ovvero di richiamo in patria delle aziende precedentemente delocalizzate grazie a incentivi fiscali, ma tutta l’Europa non è stata capace di farlo, soffrendo di conseguenza. Chi è veramente diventato ricco sono le imprese di produzione che hanno delocalizzato e ancora stanno incassando importanti valori rientrando in Patria attraverso gli sconti fiscali.

Il fallimento della globalizzazione non è incentrato su chi ha guadagno di più e se ha pagato le tasse (spesso questo non è accaduto grazie al meccanismo delle scatole cinesi e alla delocalizzazione della sede legale in Olanda-Irlanda) vedi Fiat, Google, Microsoft, Zelando etc…ma su diversi aspetti che sono:

  • l’inadeguatezza della classe imprenditoriale (su questo vedi l’unico libro scritto in italiano, L’Impresa Padronale, edito da Armando editore)
  • i terribili costi in termini di disoccupazione sia giovanile che generale.
  • Il fallimento della globalizzazione prende ancora forma nella estrema supeficialità dei tempi e classi dirigenti. Il riferimento corre all’Italia per un Primo ministro al governo, non eletto da nessuno e privo di legittimità politica, il che pone in crisi l’intero esecutivo (è legittimo?). Però a questo punto la domanda è un’altra e ancor più seria, cosa accade?
  • Con il crollo della Cina (l’Occidente non compra) in Europa il contraccolpo è diretto sulla Germania (il primo paese con cui l’Italia ha rapporti economici) imponendo un rallentamento che si ripercuote sul nostro Paese, riportandolo in campo negativo nel conteggio del PIL. Ecco la giusta fine dell’intera pubblicità governativa di questi ultimi tempi, che si giustificherà con il “non è colpa nostra” (uffa, abbiamo ancora dei ragazzini al governo). Ai fini pratici, l’ulteriore rallentamento economico in ambito di fallimento della globalizzazione, produrrà altri fallimenti di imprese e forse anche di altre banche. Si sarebbe potuto evitare tutto questo? SI! Avremmo dovuto applicare anche noi procedure di reshoring e imporre, pena pesanti interventi fiscali, un percorso di maturazione professionale alla classe imprenditoriale  (vedi il libro L’Impresa Padronale) che oggi è sostanzialmente semi-analfabeta difendendosi con: non so…..non potevo prevedere….nessuno mi ha detto, le stesse frasi che ho dovuto sopportare in tutti i convegni che seguii in quegli anni dal 2009 al 2011 e che ora si avvicendano. 
  • Ricordo un importante imprenditore dell’acciaio, in un convegno in Italia, mentre annunciò, anni fa, l’investimento di ben 150 milioni di euro in uno stabilimento in Cina. Gli dissi che sarebbe stato un azzardo considerata l’instabilità strutturale della Cina (è una dittatura comunista). Mi rispose di non farmi sentire dall’ambasciatore cinese, li presente, perchè “ne avrebbe avuto a male”. Non so se quei 150 milioni di euro siano stati solo dell’impresa o anche dello Stato (spero abbia rischiato solo con il suo personale denaro) ma se questo è lo standard dei Capitani d’industria italiani, abbiamo scoperto una della cause strutturali del modesto peso economico italiano nel mondo. In Italia abbiamo 4,5 milioni d’imprese con mediamente 3,2 dipendenti, quando in Germania sono 4,3 milioni con 34 impiegati per singola azienda. 1 sola impresa tedesca vale 10 di quelle italiane come numero d’addetti! Ecco spiegato nella povertà che si fa miseria, dei nostri imprenditori italiani, uno dei problemi più gravi del Paese. 
  • Nel complesso di quanto detto, il fallimento della globalizzazione appare drammatico perchè non abbiamo, al momento, una soluzione da adottare se non quella già sperimentata del reshoring  (inventata nel 2012 a Chicago, presso la facoltà di sociologia per consentire la rielezione del Presidente americano Obama).
  • Auguriamoci buona fortuna all’inizio del 2016, avendo appena discusso di fallimenti di banche e ora aprendo con il fallimento della globalizzazione.