L’Internazionalizzazione sta seguendo nuove vie nel post Brexit e Trump. Il guaio è che pochi lo hanno capito.

L’internazionalizzazione rappresenta ossigeno puro per le imprese italiane. Considerando la giovane età e non professionalità dell’attuale classe manageriale, si stanno perdendo le linee di tendenza. Infatti è una caratteristica dei giovani l’essere conservatori. Ciò significa limitarsi al solo già visto e vissuto. Ne consegue che non si è ancora capaci di muoversi fuori dai limiti della globalizzazione. Un danno di questo tipo all’industria italiana viene inferto da società di ricerca personale del tipo Michael Page, ad esempio. Si tratta di un caso tra molti particolarmente significativo. La società Michael Page ha voluto (per contrarre i costi) dotarsi di personale alla selezione molto giovane quindi inesperto.

Da questa scelta, comprensibile per i costi ma di basso profilo nella qualità, emerge che le selezioni per dirigenti si fermano solitamente intorno ai 35 anni. Gli over 35, come profilo, non sono solitamente studiati.

E’ un errore strategico per l’industria nazionale. In pratica un danno non corretto dalla Confindustria che brilla per assenza anche in questo. 

Chiarito come manchino gli interlocutori, esaminiamo ora le nuove tendenze nell’internazionalizzazione. Finalmente Brexit e Trump hanno cambiato una tendenza che stava portando al suicidio dell’Occidente. In particolare il mercato statunitense non è più considerabile uno sbocco per le merci. Alt! I prodotti verso gli Stati Uniti dovranno essere dei semilavorati e non più prodotti finiti. Il completamente del ciclo di produzione dovrà avvenire negli Stati Uniti. Da qui l’urgente necessità d’aprire una sede americana per l’azienda o entrare in joint venture con operatori locali. Non è finita.

Illudersi di far partire la merce dell’Italia per gli Usa è un pensiero obsoleto! Nei nuovi processi d’internazionalizzazione c’è una seconda osservazione da fare. 

Il concetto port of entry. Per entrare in Nord America (quindi forse anche in Canada) i prodotti devono soggiacere a determinati standard. Quindi anche una percentuale di lavoro americano che ha partecipato a definire il bene. E’ molto probabile che l’unico port of entry per gli Usa dalla Ue sia la Gran Bretagna. Con una novità di questo tipo, (in vigore nei prossimi 24 mesi) “uscire” dal Regno Unito causa Brexit è una vera follia. Al contrario si dovrebbe aprire una sede britannica, dell’azienda italiana, puntando a posizionarsi verso il Nord America. Qui casca l’asino. Arriviamo al punto 3 del ragionamento sulle nuove rotte dell’internazionalizzazione.

Le imprese italiane sono troppo piccine per permettersi una sede inglese o nord americana. Tra l’altro non hanno neppure la fantasia (manager giovani e inesperti) di trovare joint venture. Che si fa? L’unica soluzione sono i contratti in rete. Il quadro si complica tagliando fuori la maggior parte delle PMI italiane e scelte sbagliate alla Michale Page.

Buona fortuna.