La democrazia assicura l’uguaglianza non la libertà. E’ un concetto non del tutto noto. Certamente quasi nessuno leggerà questi studi pur restando pronto a discuterne. Peccato. Certamente non si più dire “non lo sapevo”. 

Questo è il primo articolo di una serie di 3. L’obiettivo è chiedersi il futuro della democrazia. Come tutte le realizzazioni umane, anche la democrazia ha i suoi difetti. Può regredire, sporcarsi, ammalarsi, morire.

Quali sono gli elementi che “ammalano” la democrazia? Ecco il punto di questo studio. Può una democrazia regredire in altra forma di governo? Non solo, ma la connessione sviluppo economico e democrazia è scontata? Si possono considerare minacce per la democrazia l’immigrazione, la disoccupazione e la cosiddetta società aperta?

La democrazia è una forma di governo come tutte le altre. Per funzionare ha bisogno di alcuni elementi, alla stregua di un motore. Quali sono questi elementi? Apriti cielo! Un numero elevato di studiosi ha svolto diverse ricerche sull’argomento. Il tema è d’attualità nel momento in cui è posta in discussione la cosiddetta “società aperta”. La società aperta postula l’accettazione acritica di ogni tipo d’immigrato. Ovviamente un concetto del genere non poteva che entrare in crisi! Il vero dramma è che nessuno è stato ancora capace di risolvere un quesito fondamentale.

Quanta immigrazione e disoccupazione tollera la democrazia prima di crollare?

Per poter riflettere a fondo è stato necessario ricorrere al capitolo 12 dell’opera di Niall Ferguson, Soldi e Potere. Un lavoro editoriale più volte citato in questo sito. Non solo mi sono trovato a riflettere sull’argomento con un simpatico signore in chat. A un certo punto, quando consiglio un riferimento ai sacri testi, mi manda a quel paese. Probabilmente il personaggio non sa che il concetto democrazia è più da studiare che discutere. Questo scritto è dedicato al signor Belloni.

Nel 1989 Francis Fukuyama, un sociologo statunitense, affermò la fine della storia. Cosa vuol dire? Partendo dalla sua base concettuale, lo Stato entrando nella globalizzazione, è giunto al termine del suo ciclo. Certo, Fukuyama nel 1989 si riferì al crollo del muro di Berlino più che alla globalizzazione. Con il senno di poi, oggi, possiamo meglio interpretare il pensiero del sociologo americano. La radice culturale di Fukuyama è in Georg Friedrich Hegel. Per il filosofo tedesco lo Stato è ancora la massima realizzazione sociale. In effetti ha ragione Hegel. Con la caduta del muro di Berlino si è entrati in un’era a minore intensità statale. Il sovranazionale è diventato la norma. Si parla di Ue come di Nafta, WTO e Onu. Un insieme di prospettive sovranazionali. La venuta meno dell’importanza dello Stato ha portato Fukuyama a considerare chiuso un ciclo storico.

Ecco come si giustifica la fine della storia.

Fukuyama prosegue la sua ricerca cercando la relazione tra crescita economica e democrazia. Per lo studioso americano questo rapporto è regolato dalla cultura. I suoi libri fondamentali sono:

  • La fine della storia (1989)
  • The Great Disruption (1999)

In quest’ultimo testo, Fukuyama immagina che il destino comune del mondo avanzato sia la democrazia liberale. Decisamente ottimista.

L’idea che progresso economico e democrazia vadano a braccetto è anche di Mancur Olson. La sua opera, Power and Prosperity (1999) immagina lo Stato come un “brigante stanziale”. A differenza dei briganti itineranti, quello stanziale ruba il necessario. Olson è meno ottimista di Fukuyama accettando lo Stato e la democrazia come il male minore.

Certamente Olson ha aperto la strada ad altri studiosi, come Douglas North, sulle motivazioni al progresso. Per questi studiosi è stata la certezza nei diritti di successione e di proprietà a fornire la miccia al progresso. Tale certezza non poteva che offrila lo Stato. Ecco che si conferma ancora una volta come la struttura statale sia stata la molla del progresso.

Fa eco il Premio Nobel Amartya Sen in Development as Freedom (1999). Sen afferma che nessuna grave carestia ha mai colpito una democrazia. Da qui la sua forma superiore d’organizzazione sociale.

SEGUE IN ALTRI CAPITOLI.