Il fallimento di un’azienda non è mai casuale: nasce dalla distrazione dell’imprenditore


di Giovanni Carlini

Osservando e studiando il comportamento degli imprenditori negli ultimi 25 anni, emergono diversi aspetti (come in ogni ambito umano) sui quali riflettere. Tra i tanti quello che più m’incuriosisce è la chiusura mentale in un ambito di creatività costruttiva. Mi spiego. In linea di massima siamo in presenza di personaggi, a tutti i livelli, dotati di ampia e larga capacità creativa per sfruttare idee, punti di vita e tradurre questo in denaro. Stiamo parlando sia del Capitano d’Industria che dell’imprenditore a livello di PMI, entrambi degli esempi a cui il Paese deve la sua ricchezza e benessere. E’ importante precisare come ogni critica che qui emerge, nasce in un quadro di rispetto e riconoscimento a una classe d’imprenditori che ci ha permesso a noi tutti, italiani, di non avere più le pezze a completamento degli abiti.

Chiarito che apprezzerei una statua in ogni piazza dei quasi 9mila comuni italiani a celebrare e ricordare l’importanza sociale dell’imprenditore locale ai fini della civiltà nazionale, (si tratta di una prassi diffusa negli Stati Uniti) restano però delle osservazioni critiche su cui ragionare.

Frequentemente emerge che dei professionisti non riescano ad introdursi nelle aziende a livello di consulenza, pur in regime di finanza agevolata rendendo il loro lavoro praticamente gratuito. Mi spiego meglio. Fortunatamente ci sono numerose agevolazioni di legge che favoriscono la collaborazione tra azienda e professionisti che non vengono sfruttare. E ancora peggio, casi dove l’impresa, pur avvalendosi della collaborazione esterna raggiunge il massimo del suo fatturato rispetto a tutta la sua storia, assume anche oltre una decina di persone, non conferma, in regime di semi-gratuità il suo consulente!
Insomma, si registrano dei casi anacronistici. 

Come fare a confrontare un oggettivo successo sul mercato da parte della ditta e dell’imprenditore, favorito inequivocabilmente anche dal consulente esterno, con la miopia di non accettarne la semi gratuità della collaborazione esterna? La risposta c’è: chiusura mentale. 

Sarebbe facile imputare la limitatezza mentale a una persona che lo è di carattere per cui è sempre limitata nelle sue visuali, ma il ragionamento si complica quando si manifesta a fasi alterne dove interviene anche la gelosia di casa propria (l’azienda) e la non voglia di porsi in contradditorio. Ecco il punto: il complesso del tank (carro armato) Normalmente si lavora, lavora e ancora lavora, quindi lavora e si prosegue lavorando. Questo è il guaio: lavorare per lavorare restando concentrati sul pezzo ma chi pensa in azienda? Il valore di un certo tipo di consulenza, per di più semi gratuita, non è quello di spostare 10 kg di cartacce da una scrivania all’altra, ma “di pensare” con tutti gli errori del caso, ma anche successi, l’immediato futuro dell’azienda a 6 mesi, 12, 18 e almeno 24. 
Ecco a cosa serve una consulenza strategica che trova così freddi gli imprenditori per quanto gli venga “regalata”.

La crisi?

Questo evento non è una carenza di fatturato ma di prospettive, trovandosi immediatamente e senza preavviso nel guado di una scelta che era giusta fino a stamattina, ma che non lo sarà stasera. Si conferma così che la crisi è in realtà tale per assenza di scelte che non sono state maturare, discusse, corrette, sperimentate, ipotizzate e sognate quando era il tempo di farlo.

Chi fallisce? E’ semplice.

Fallisce chi pur lavorando intensamente, non ha saputo guardare oltre, preparandosi al naturale cambio di stagione del mercato. La colpa (grave) del fallito è quella d’aver contribuito al suo disastro molto tempo prima rispetto al fatto nudo e crudo, constatandone gli effetti sono quando emergono, senza aver saputo utilizzare quegli strumenti, oggi semi gratuiti, che lo avrebbero aiutato. Manca l’umiltà di ragionare con persone-professionisti appositamente esterni al settore e all’azienda. Peccato, potevamo avere un’industria più forte se tutti i vantaggi offerti fossero stati utilizzati.
Questo vuol dire che se il fallimento è un evento in realtà maturato molto tempo prima rispetto a quando emerge, sicuramente l’imprenditore gonfio di se stesso (di successo ma immaturo) sconta una ridotta resa delle sue azioni perché non sa allargare l’area di produzione delle idee al di là della sua famiglia e clan d’appartenenza. 
Buon lavoro.