Perché l’economia Usa risponde agli stimoli e quella italiana no?

di Giovanni Carlini

La stampa mondiale, a cavallo d’anno, celebra i successi dell’economia statunitense, che tra l’altro ha saputo riportare 3 milioni di disoccupati al lavoro. Da questo evento si possono trarre diverse considerazioni:


Il lavoro, ovvero la quantità di buste paga elargite in regime di produttività, rappresenta il centro pulsante dell’economia moderna anziché essere al traino della finanza, come solitamente pensato, in particolar modo in Occidente.

Durante la crisi c’erano 14 milioni di disoccupati negli Stati Uniti, oggi sono 11. Non che i problemi siano stati risolti, però la strada del risanamento è avviata. Laddove in Italia crea ansia il 43% di disoccupazione giovanile, oltre oceano il problema sono quei disoccupati (7% di media nazionale contro il 12% italiano) che superano i 6 mesi d’inattività, perdendo «attitudine» al lavoro. L’America è veramente un mondo diverso da noi.

La manovra, per ottenere questo successo negli Stati Uniti, è stata sostanzialmente fiscale, convincendo le imprese a rientrare in Patria abbandonando quei paesi come Cina, Brasile ed Indonesia, dove erano state delocalizzate. Infatti hanno ben agito le agevolazioni nelle tasse d’urbanizzazione e nella tassazione degli utili, convincendo importanti marchi industriali al rientro, producendo nuove assunzioni che hanno tolto il detonatore alla protesta sociale. Questo tipo d’operazione si sintetizza in una parola: reshoring. Molte volte, in questa stessa rubrica si è tornati sul concetto del rimpatrio delle aziende, ma non è ancora entrato nel dibattito nazionale, a discapito della vivibilità del Paese.

C’è un altro aspetto da considerare ugualmente importante. Le politiche monetarie applicate negli Usa funzionano, in Europa e in Italia no. Si possono fare molte considerazioni che riguardano certamente la moneta unica (già criticata con gli stessi argomenti di oggi nel 2001, senza che alcuno si fosse degnato di capire ciò che poi si è rivelato) ma volendo evitare a tutti i costi la polemica su un fallimento, certamente in America è in funzione qualcosa che da noi non è ancora nato: l’ottimismo. Vivendo per mesi, ogni anno, negli Stati Uniti, non riesco a trovare persone arrabbiate o in preda a nervosismo come in Italia.Probabilmente il nostro paese produce quote crescenti di tensione sociale e individuale. Ebbene così non è all’estero e non lo è in America. Approfondendo il concetto, si potrebbe affermare che l’ottimismo «è una materia prima» che, inserita nel circuito sociale e produttivo, determina dei risultati migliori. Si potrebbe lavorare con il sorriso? È assurdo andare al lavoro in forma positiva e con mente aperta? Possiamo considerare le ore trascorse al lavoro (che sono la maggioranza della giornata e della nostra vita, specie se sommate a quelle di viaggio) non come un furto alla vita privata, ma vivendole con spirito produttivo di valori e idee? Si potrebbero considerare le tasse come un giusto contributo alla nostra società, anziché un braccio di ferro contro impari forze avversarie?

Concludendo, pare che la risposta alla nostra crisi non sia tecnica, intesa in questo modo come monetaria, bancaria, fiscale e politica, ma squisitamente privata, personale e caratteriale. Un popolo «dai musi lunghi» arrabbiato e nervoso, irascibile contro gli altri e se stesso, quindi anche contro le Istituzioni, che hanno comunque perso il senso di Stato e di Comunità, non è guaribile se non attraverso una terapia personale del buon umore.

Come si fa? Semplice! Dobbiamo cambiare affinché tutto intorno a noi cambi. Le Istituzioni, ammesso che ancora sappiano essere collegate alla realtà concreta nella Nazione, dovrebbero avere solo un progetto: riassorbire la disoccupazione creando nuove condizioni di lavoro per le imprese. Tutto il resto è sport & divagazione. Dal lavoro nasce stabilità, quindi serenità e la rinascita di una nazione malata. Auguriamoci di riuscire a trovare quegli interlocutori nazionali che sappiano capire i problemi perché se la crisi è grave, lo è per mancanza di leadership. Non abbiamo ancora un leader (ricordo De Gasperi con ammirazione e rispetto) che al momento sappia riunire la Nazione sui grandi temi. La crisi è sempre assenza di sintesi e capi.

Buon lavoro