Il sonno come dissociazione da un evento in corso nel vissuto non gradito.

Il sonno è anche un sistema di protezione oltre che di ristoro per la mente. Si dorme per riposarsi, ma lo si utilizza anche per dissociarsi da una sofferenza in corso di sviluppo. In effetti nelle carceri, le persone più sensibili, colpevoli o meno, “dormono” per isolarsi dall’ambiente. Fin qui nulla di nuovo, si tratta di dati e conoscenze acquisite nello studio della personalità. Il punto è un altro: con l’uso del sonno come terapia dissociativa, si risolve il disagio intimo vissuto?

La scienza sotto questo punto di vista non ci può aiutare. O meglio servono studi qualitativi e non quantitativi. Non possiamo andare sui grandi numeri grazie a un’inchiesta statistica e formulare una teoria generale. Al contrario è necessario analizzare i singoli casi e capirne la portata  ipotizzando una generalizzazione.

Qui serve una premessa: la realtà è quella che si percepisce non quanto oggettivamente vissuto. Mi rendo conto d’espormi con questa affermazione a una critica formidabile e distruttiva.

Laddove la persona, con il sonno, estraniandosi dalla non felice situazione, recupera energia per battersi contro le avversità, la strategia è vincente. Il punto non è se il sonno sia sano o una strategia perdente. Al contrario è nel “dopo il riposo” cosa accade che ci interessa. La persona riposata relaziona meglio con se stesso e con le problematiche? E’ in grado di pianificare delle strategie reattive tali da organizzare una difesa o una reazione?

Come al solito in questa rubrica spostiamo sempre il focus del problema dal fatto alle conseguenze. Spesso la dottrina si ferma “sul fatto”, in questo caso l’uso del dormire come reazione. Raramente si è interdisciplinari coinvolgendo anche le conseguenze degli atti che sono poi quelli che ci consentono di capire il senso delle cose. Ogni contributo di vita vissuto su questo tema dai lettori è gradito.