L’inversione di marcia nella globalizzazione in corso negli USA. Dal nostro corrispondente all’estero: Giovanni Carlini. Una redazione itinerante alla scoperta delle nuove tendenze. 

Gli Stati Uniti dal 1929 hanno sempre espresso, nel bene come nel male, un punto di riferimento. Un faro a cui non solo l’Occidente si rivolge. Se questo è vero, si stanno osservando, in questi ultimi mesi delle novità. Nuovi orizzonti in ambito di globalizzazione con tendenze opposte a quanto creduto irreversibile fino a pochi mesi fa.

L’inversione di marcia nella globalizzazione. Gli Stati Uniti oggi 2017

Per capire gli Stati Uniti serve porre delle date. Questo perché l’evoluzione è fortissima. Esiste un’America del 2017 che è diversa dal 2016 e così via. Ecco ad esempio quanto fu scritto nel 2012.

Nel 2012, stiamo assistendo a una rincorsa alla Casa Bianca operata non solo dai candidati repubblicani, ma dallo stesso Presidente. Ovviamente la sua rielezione non è affatto scontata. Per questo che il nuovo programma di governo, non è più solo democratico. In realtà è una risultante di quanto è necessario, indipendentemente dalla fonte. In pratica il “nuovo” Obama sta applicando ricette sia di fonte repubblicana che democratica. Tutto questo pur di conservare la presidenza.
Quanto questa strategia, che fu già utilizzata da un altro presidente anch’esso democratico (Clinton) sia adeguata, lo si potrà accertare nel prossimo novembre 2012. I sondaggi al momento esprimono un testa a testa.

Da questa corrispondenza emergono dei passaggi impressionanti. Clinton e Obama che cerando di diventare dei Presidenti per tutti gli americani senza riuscirci. Di fronte a questo tentativo, anche nobile, emerge la Presidenza di Donald Trump. Un presidente che non ha interesse d’essere il Presidente di tutti. Lui punta a servire l’America indipendentemente dal gradimento. La sua missione è la sua idea. Stop.

E’ finita un’era dove si cercava l’accordo. A patto che ci sia la maggioranza, si governa! Ecco dove il consociativismo da globalizzazione è finito. L’inversione di marcia nella globalizzazione parte dalla politica.

Cosa si intende per globalizzazione

Illustrare una politica di “rientro dalla globalizzazione”, impone chiarire cosa si intenda con questo concetto. La globalizzazione diviene un fatto compiuto nel 2000 con l’entrata della Cina nel WTO. Non che questo paese avesse un peso strategico rispetto agli altri. In realtà è stato scelto dagli Stati Uniti come principale base produttiva. Ne consegue la delocalizzazione. Questa scelta rispose a due necessità: una politica e l’altra economica.

La prima risale alle trattative di pace sul Vietnam. Nel 1975 la Cina soffriva la fame. Lo scambio fu semplice. Gli Stati Uniti avrebbero risolto il problema economico, in cambio di un’azione di contenimento militare e strategico contro l’Unione Sovietica. Politicamente questo progetto, perseguito massicciamente dalle successive presidenze, ha avuto successo. Oggi non si può più parlare di guerra fredda.

Sul piano economico, la scelta di delocalizzare per le necessità interne del mercato americano, servì per sbloccare una condizione di stallo. Il problema americano e occidentale era concentrato  nell’alto costo della mano d’opera. Ciò imponeva prezzi gravosi per beni e servizi. L’obiettivo era quello di poter scendere nei prezzi, allargando la base di consumo. Questo allargamento sarebbe stato valido sia all’interno del mercato americano, che in tutto il mondo, conquistando nuove fasce di consumo. Anche questo risultato è stato raggiunto, garantendo altissimi profitti agli industriali.

Il differenziale nel costo del lavoro fu ed è ancora importante. Dai 32 euro/ora in Germania o i 26 per l’Italia, contro i 2,6/5 di oggi richiesti dal lavoratore cinese. 
Effettivamente la qualità dei manufatti e le spese di trasporto sono rimasti dei problemi. Con questi dati si può definire globalizzazione un’azione d’allargamento del mercato a prezzi minori, implicando la delocalizzazione. Questa sarebbe la “prima delocalizzazione” interpretazione valida fino al 2007.
Con la crisi subprime, scatenatasi negli USA si è rimodulato il concetto di globalizzazione identificandone una “seconda fase”

La seconda fase della globalizzazione

Per seconda fase si intende un presidio dei mercati emergenti. Si realizza con tecnologie e stabilimenti forniti dal capitale occidentale. La novità è che non  si re-importare i beni e servizi nel paese di provenienza delle risorse. 
Questa “novità” è stata dettata da una scoperta: delocalizzare ha sicuramente reso più “felice” i consumatori. Il rovescio è che gli ha anche resi disoccupati. Tutto ciò inceppa o riduce drasticamente il livello di consumo interno. La scoperta è che senza il mercato interno l’industria chiude i battenti. Perchè almeno il 60% della produzione è destinato al mercato domestico. La lezione è che d’internazionalizzazione si cresce ma non si vive, senza una importante base di riferimento sul mercato interno. Con queste premesse l’inversione di marcia nella globalizzazione è un atto dovuto.

 

Quando la crisi si fa morale anziché solo economica

Negli USA, nel 2012 c’erano 14 milioni di senza lavoro, vuol dire il 9% di cittadini privi di protezione sociale. In queste parole si esprime un problema culturale perché implica il cambio degli stili di vita. L’assenza di lavoro entra dentro il modo di percepire la realtà. Questi sono i numeri della presidenza Obama. 
Ecco perché negli Stati Uniti la crisi prima immobiliare e oggi sociale non è più solo un aspetto economico. Significa che investe il modo di vivere nella società, quindi l’immigrazione e la coesione religiosa. L’eventuale eccessiva tolleranza, la criminalità, il matrimonio, l’educazione dei figli. La qualità della vita di coppia etc. L’intero ripensamento è stata la privazione di reddito negli Usa. In Europa, al contrario, ancora non s’è capito che si sta curando, con metodiche economiche una crisi sociale e culturale. 

 

I provvedimenti governativi

Nel 2012 si è scritto: in un mix tra spirito repubblicano e democratico, molto timidamente l’amministrazione sta agendo su due direttrici:
– offrire dei finanziamenti e sgravi alle imprese che aprono e assumono in certi stati (Georgia e nel Michigan);
– premendo direttamente sulle imprese affinchè chiudano gli stabilimenti delocalizzati ricollocandosi nel territorio degli Stati Uniti.
Quest’azione duplice è ancora molto timida perché urta una sensibilità storica nella non ingerenza dello stato nella vita del Paese. E’ un concetto tipicamente repubblicano. Nonostante ciò, si fa “buon viso a cattivo gioco” per lottare contro la disoccupazione.
Comunque è in atto un trasferimento d’aziende dai paesi “bric” verso gli Stati Uniti.
Oggi nel 2017 fa “scandalo” che l’amministrazione Trump prosegua il reshoring. Si chiama pregiudizio. Certamente l’inversione di marcia nella globalizzazione è confermata.

 

La modifica delle regole di immigrazione

Nel 2012 si è scritto: sono state cambiate anche le regole d’immigrazione. Per cui chi investe negli USA e produce almeno 20 posti di lavoro, ottiene la “green card”. Questo programma si chiama B-5 ed è stato lanciato dall’amministrazione a dicembre 2011.
Nel 2017 il problema immigrazione non coinvolge più solo i capitali, ma anche gli abusi sulle persone.

Conclusione. L’inversione di marcia nella globalizzazione 

La Globalizzazione fu una bella idea applicata male, come del resto in Europa la moneta unica. Oggi c’è l’inversione di marcia nella globalizzazione.